Una volta ho detto una frase che ha sconcertato molte persone. Ho detto: “Per praticare bene, dobbiamo rinunciare alla speranza”. Non è piaciuta. Che cosa volevo dire? Voglio dire che dobbiamo rinunciare all’idea che, se solo potessimo scoprirla, ci deve essere una vita perfetta per noi, giusta per noi. La vita è così e basta. Solo rinunciando a manovre di questo genere la vita incomincia a essere più soddisfacente.
Rinunciare alla speranza non significa rinunciare allo sforzo. Come studenti di Zen, ci tocca lavorare tremendamente duro. Lavorare duro non significa tensione, non significa sfinirci. Dura è la scelta che dobbiamo rinnovare di continuo. Se praticate duro, se venite alle sesshin [ritiri di meditazione], se vi impegnate con un insegnante, se nutrite la volontà di fare sempre la stessa scelta, coerentemente, per un certo periodo di tempo, un giorno avrete un primo barlume. Il primo, piccolo barlume di ciò che è il momento presente. Potete metterci un anno, due anni, dieci anni.
È soltanto l’inizio. Il primo, piccolo barlume dura un decimo di secondo. Non basta. La vita illuminata vuol dire vedere attimo dopo attimo. Ci vogliono anni e anni di lavoro per trasformarci e metterci in grado di farlo.
Non intendo scoraggiarvi. Qualcuno penserà di non avere abbastanza anni davanti, ma il punto non è questo. Ogni momento della pratica è perfetto. Praticando, la vita diventa più piena, più soddisfacente, migliore per noi e migliore per gli altri. È un lungo, lungo continuum. Ma c’è qualcuno che pensa scioccamente di diventare illuminato in quindici giorni.
Noi siamo già il Buddha. Non c’è alcun dubbio. Come potremmo essere qualcos’altro? Siamo già perfetti qui e in questo preciso momento. Potremmo forse essere altrove? Il punto sta nel capire chiaramente cosa significa: perfetta unità, armonia, e la capacità di esprimerla nella vita. È questo che richiede allenamento e lavoro. Ci vuole fegato. Non è facile. Richiede dedizione, verso se stessi e verso gli altri.
Praticando, tutto ciò matura, anche il fegato. Dobbiamo sedere con il dolore, e odiamo farlo. Neppure a me piace. Ma, se resistiamo pazientemente, qualcosa si plasma dentro di noi. Lavorando con un buon insegnante, vedendo il suo modo di essere, veniamo lentamente trasformati. La trasformazione non avviene attraverso il pensiero né ciò che possiamo immaginare con la nostra testa; avviene attraverso ciò che facciamo. E che cosa facciamo? Rinnoviamo continuamente la stessa scelta. Abbandoniamo il mondo dei sogni egoistici per la realtà che davvero siamo.
Probabilmente all’inizio è difficile capire, può essere estremamente confuso. Ascoltando per le prime volte i discorsi degli insegnanti, pensavo: “Di che diavolo parlano?”. Praticate con fiducia, sedete tutti i giorni, penetrate la confusione, siate pazienti e nutrite un grande rispetto per voi stessi impegnati nella pratica. Non è facile. Chiunque porti a termine una sesshin merita congratulazioni. Non voglio sembrarvi dura; ritengo che, se venite qui, siete persone meravigliose. Ma il vostro compito è di utilizzare le vostre qualità per lavorare.
Siamo come neonati. Abbiamo davanti una crescita illimitata. Alla fine, se saremo pazienti, se lavoreremo sodo, avremo la possibilità di fare qualcosa per il mondo. Nell’unità in cui avremo imparato a vivere c’è vero amore; nessun sentimentalismo, ma la forza del vero amore. Lo vogliamo nella nostra vita, e lo vogliamo nella vita degli altri. Lo vogliamo per i nostri figli, i nostri genitori, i nostri amici. Sta a noi lavorare.
Questa è la pratica. Anche decidere di seguirla sta a noi. Può darsi che a molti di voi non sia affatto chiara, e in effetti ci vogliono anni perché divenga chiara, per capire davvero cosa si sta facendo. Fate del vostro meglio. State con la vostra pratica seduta. Venite alle sesshin, sedete e date il meglio di voi. È importante, perché la totale trasformazione della qualità della vita umana è la cosa più importante che possiamo fare.
[ Da: Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano“ ]
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– https://en.wikipedia.org/wiki/Joko_Beck