Non ero un teosofo e nessuno dei miei parenti lo era; tuttavia, la mia ultima moglie, Vina Visalakshi, trascorse la vita a Madras ed ebbe molti amici fra loro. Ella conobbe Krishnaji, così come lo conobbi io. Sebbene l’oggetto di questo incontro sia: “Krishnamurti così come l’ho conosciuto”, come posso dire di averlo conosciuto?
Non si conosce nemmeno un amico, o la propria moglie. Tuttavia vorrei condividere con voi alcuni ricordi relativi a quel grande uomo.
Io ero un studioso ricercatore dell'”Indian Intitute of Science” e scettico per natura. Non sono mai andato in cerca, ne’ mi capito’ mai di incontrare nessuno; senonche’, casualmente, nel 1947, incontrai Krishnaji, mentre mi trovavo in compagnia di mia moglie. Sin dal primo giorno K. ebbe piu’ volte occasione di riferirsi a me dicendo: “Balasundaram, sono vostro amico”.
Sia nel lavoro che in ogni tipo di situazione egli era un amico; dalla sua persona trasudava nobilta’ e immenso amore. Quando venne dall’India, subito dopo la guerra, era molto amorevole e cercava contatti con i giovani per fraternizzare con loro. Si piazzava con una tenda a ridosso della casa in Stirling Road, a Madras, ove egli risiedeva, e usava restare, lì seduto, per la maggior parte del tempo.
Un giorno, vidi entrare nella sua stanza un signore in kurta e dhoti [una lunga striscia di cotone, usata come indumento, dagli indu’, per coprire la parte inferiore del corpo], con un cappello viola, che teneva sotto il braccio una certa quantita’ di racconti polizieschi.
Osservai e pensai: “Questo non puo’ essere un santo uomo”.
Dopo un po’, l’uomo uscì e ando’ via ed io, spinto da una grande curiosita’, mi affrettai ad entrare e, vedendo i libri vicino a Krishnaji, gli chiesi: “Signore, lei legge queste cose?” Mi rispose: “Sì, ma sono un lettore lento”.
Allorche’ gli chiesi: “Chi era quel signore che vi ha portato i libri?”, mi disse: “Non lo conosce? E’ Jinarajadasa, il Presidente della Societa’ Teosofica”.
Cio’ aveva luogo nel 1947. Nel 1948, ero a Bangalore all’Istituto di Scienze. Krishnaji, quell’estate, non torno’, ne’ in Europa, ne’ in America, ma rimase a Ooty e, da lì, venne a Bangalore. Ci occupammo di lui e con lui passammo la maggior parte del nostro tempo. Chiedemmo inoltre al sig. Maurice Frydman, che ebbe modo di conoscerlo nei giorni di Ommen, di soggiornare con lui nella casa di Vikram Sarabhai. Potei vedere K. ogni giorno.
Ricordo che, dopo un paio di giorni, mi domando’: “Mr Balasundaram, non mi muovo bene con questi sandali; potrebbe procurarmene un tipo con i lacci?”
Riuscii a convincere un calzolaio cinese a realizzarne un paio. La mattina successiva, mentre mi recavo presso di lui per fare colazione, lo trovai, seduto in un angolo, che lustrava i suoi nuovi sandali. Mi avvicinai a lui, un po’ intimorito, e gli dissi: “Signore, per favore, posso farlo io per lei” – ed egli si volto’, continuando a lucidare i sandali e disse: “Sa chi mi ha insegnato a lucidare le scarpe? Il lucidascarpe di Re Eduardo VII”. Era davvero così; non mi stava raccontando una panzana e questo era indice del senso di responsabilita’ e del nobile stile con cui i Teosofi lo avevano curato e cresciuto.
Egli non parlava mai del passato; tuttavia, ogni tanto, improvvisi flash si riaffacciavano dal passato nella sua coscienza. Un giorno, Maurice Frydman, con la sua amica Wanda Dynowska, che usava farsi chiamare Uma Devi e che alloggio’, qui, a Sevashrama, vennero a fargli visita. Ella tradusse molti scritti di teosofia ed anche libri dello stesso Krishnamurti; riuscì, anche, a farli arrivare in Polonia, tramite particolari collegamenti, nei periodi in cui il comunismo era al massimo potere: un lavoro senza dubbio pericoloso.
Il fratello di Uma Devi fu ucciso durante la guerra e quando, nel 1948, ebbe notizia di altre morti, visse momenti molto tristi. Così Frydman, che aveva abitudine di mettere in ogni evento un po’ di filosofia, domando’:
“Quale atteggiamento dobbiamo avere verso i morti?” Krishnaji rispose: “Le risponde la Bibbia, Signore: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti… [Matteo VIII 22; Luca IX 60]”. Questo fu tutto, non aggiunse altro. Alcuni giorni prima della partenza di Krishnamurti, dopo un soggiorno di sei settimane, Frydman disse:
“Dovrei mettere a lavorare questo ragazzo Balasundaram. E’ molto capace, ma non riesco a convincerlo a lavorare; voi siete l’unica persona che puo’ persuaderlo. Dovrebbe dirgli di lavorare con me, e inizieremo.”
So che Frydman ha un suo modo di fare le cose. Nel 1950, per un anno, egli fu Segretario della “Krishnamurti Foundation” ed anche del Rajghat Center. Mise tutto a soqquadro. Quando mi chiese di lavorare per lui, gli risposi: “Non lavorero’ mai per Maurice Frydman. Egli dice una cosa e poi ne fa un’altra, e’ inaffidabile”. Krishnaji mi guardo’ e rispose: “Come puoi dire una simile cosa? Potrebbe essere cambiato, anche all’ultimo minuto. Cio’ che dici puo’ essere vero, ma egli potrebbe essere cambiato”.
Notate, era così logico. Il Maestro insegnava in questo modo. Il suo brillante insegnamento passava anche attraverso le piccole cose. In questo caso la lezione era basata sul fatto che dovevo vivere senza alcuna immagine. Fu una lezione che mi colpì.
Krishnaji osservo’: “Ho appena dato un colpo al tuo vivere, per divenire vivo”
Mia moglie era musicista e, come molta gente che conosco, stava perdendo l’udito ad un orecchio. Verso la fine del suo soggiorno, Krishnaji disse:
“Sto andando via una settimana; se desidera che aiuti sua moglie vedro’ se posso fare qualcosa per lei.” Non capii cosa intendesse dire. Allora aggiunse: “Amma [K. si riferiva sempre ad Annie Besant con “Amma”, o “madre”] si alzava sempre alle quattro del mattino, si faceva un caffe’ forte e iniziava il suo lavoro. Era spesso tormentata dall’emicrania. Cosicche’, un giorno, mi disse: ‘Figliolo, metti la tua mano sulla mia testa; così che possa aiutarmi.’
Appena le poggiai la mano sulla testa l’emicrania cesso’.
Allora realizzai che c’era qualcosa nelle mie mani. A volte funziona e a volte no. Se lo desiderate posso tentare su Visalakshi.”
Ci provo’, ma non funziono’. Decisi improvvisamente di ritirarmi dall'”Indian Institute of Science” per andare in America a racimolare un po’ di soldi e, in seguito, andare in pensione. Ma, un bel giorno, ricevetti un telegramma da Rishi Valley, “Krishnaji desidera ugentemente vederla”. Misi subito in moto la mia vecchia auto e guidai, pensando che sarei dovuto tornare per lavoro il giorno successivo; senonche’, restai per tre giorni. Krishnamurti mi disse:
“Stai andando in America per svolgere ricerche?” Quando gli comunicai l’intenzione di rientrare, pressappoco entro tre anni, mi disse:
“Perche’ non ti ritiri ora ed aiuti questa gente?”
Al che andai a Rishi Valley, e senza aver avuto esperienze di insegnamento in altre scuole, o universita’, divenni preside di quella Scuola. Accadevano sempre cose intorno a lui e v’erano sempre continui cambiamenti. Quei tre giorni passati con Krishnaji sradicarono completamente da me l’immagine che avevo di lui, come uomo religioso. Krishnaji visse nel mondo e la sua vita ebbe un preciso ruolo, come avrete letto nei suoi Commentaries, ma egli non era del mondo. Era totalmente fuori da esso. Krishnaji non sopportava le lunghe esposizioni al sole, poiche’ aveva avuto una insolazione. Passeggio’ raramente prima del tramonto.
Ebbi modo di fare una gran quantita’ di conversazioni con lui in occasione dei nostri numerosi spostamenti in macchina. Talvolta, i discorsi erano superficiali. Altre volte, invece, aveva straordinario interesse – ad esempio – per la storia antica, l’astronomia, i cieli, le stelle, e per tutte cose di questo tipo; ne parlava e diceva: “Osserva la Croce del Sud [una famosa costellazione australe]”.
Talvolta eravamo piu’ persone in macchina; altre volte eravamo soli. Dick Balfour Clarke veniva sovente da noi in bicicletta dal TS per salutarlo. Krishnaji era molto ben informato, ma leggeva molto poco e lentamente. Non l’ho mai visto leggere libri religiosi. Una volta divenne molto serioso, quando il “Life magazine” pubblico’ un prospetto statistico, subito dopo le Olimpiadi del 1968, che vedeva l’India in fondo alla classifica.
Disse: “Vi e’ mai venuto in mente perche’ questo paese non ha prodotto fuoriclasse e individui ricchi d’inventiva, in tanti anni di scienza, arte, musica e così via; e, questo, proprio in un paese che ha così tante magnifiche sculture e templi? Perche’ non abbia prodotto negli ultimi anni un solo vero individuo creativo, che sia internazionalmente famoso?”
Mi tormento’. Si rivolgeva a me con “Vecchio ragazzo”, o “Balasundaram”, o “Signore”; mi stava martellando.
Proseguì “Non hai pensato a questo? Come puoi educare le persone se non sei consapevole di cio’?”
Allora, cercai di deviare il discorso: “Cosa intende dire?” Rispose che quello di deviare i discorsi era un vecchio trucco, tuttavia aggiunse: “Ti diro’, ascolta. Ogni volta che c’e’ stata una gran fioritura di arte, musica, poesia, e così via, e’ stato dopo un intenso periodo religioso. Cosa vediamo dopo l’apparizione del Buddha? Le grotte di Ajanta ed Ellora! Oggigiorno, se qualcuno fa qualcosa, vuole essere applaudito dal mondo intero. La persona stolta si comporta così!”.
Ando’ avanti, analizzando l’intero pianeta e disse: “Il vero sentimento religioso e’ la madre di tutta la creativita’. Questo paese l’ha impedito.” Prese questo argomento molto seriamente. Era amorevole, ma, talvolta, anche collerico. Ed era così, quando si rivolse a me dicendo: “Tu devi fare qualcosa.” Gli risposi: “Cosa puo’ fare un uomo?” Al che, si volto’ e disse: “Non dici mai cose nuove: “cosa puo’ fare un uomo”? Napoleone era un uomo. Hitler era un uomo, il Buddha era un uomo.
Così le cose, per buone o cattive che siano, sono state cambiate da una persona. Tu devi andare alla radice. Se non scopri la radice, potrai canbiare le cose solo supeficialmente. Cio’ vale sia per l’educazione che per qualsiasi altra cosa.”
Krishnaji aveva una grande presenza. Non ho ricordo di persone che abbiano, ad esempio, accavallato le gambe in sua presenza, o che non fossero consapevolmente rispettosi nei suoi riguardi; io proprio non potevo farlo. Come racconto’ Rom Landau nel suo libro “Dio e’ la mia avventura”, quando ando’ a vedere Krishnaji nel 1934. In quel periodo, egli fumava regolarmente, ma scrive: “Dimenticai di prendere le sigarette in quei quindici giorni, poiche’ dimenticai di essere un fumatore.”
Krishnaji aveva una formidabile presenza, che incideva sui comportamenti di alcune persone; altri, invece, non erano toccati allo stesso modo; non e’ facile comprenderne i motivi. Ho visto spesso abitanti dei villaggi e persone comuni, che non lo conoscevano affatto, farsi indietro ed inchinarsi ossequiosamente mentre egli passava. Le sacre scritture dicono che una delle maggiori cause di illusione nell’uomo e’ dehatma-bhava; cioe’, l’identificazione col proprio corpo. In Krishnamurti questo non aveva ragione d’essere. Egli considerava il proprio corpo come un’entita’ separata, del quale bisognava avere cura; un qualcosa da accudire, rivestire, lavare, nutrire con alimenti giusti e così via. Krishnaji considerava il corpo come un prezioso strumento da custodire coscientemente.
Si fa un gran parlare su cio’ che Krishnaji intendeva per liberta’. Egli non si riferiva a cio’ che soddisfa e appaga se stessi: bensì, liberta’ da cio’ che piace, o ripugna.
Una volta K. disse a sua nipote Narayan: “Se non avessi sottoposto questo corpo a una tale quantita’ di viaggi, si sarebbe mantenuto per quattrocento anni.” Gli chiesi: “Disse quattrocento, o cento?” Narayan rispose, “Quattrocento”.
Un giorno il Dr. Parchure disse a Krishnaji, “Il suo fegato non e’ in buona salute. Deve prendere una spremuta di zucca acerba ogni mattina a colazione.”
Ed egli seguì la prescrizione senza problemi, in assenza di piacere, o dispiacere. Egli visse soltanto per trasmettere il suo messaggio . Quando egli aveva oltre ottant’anni un mio amico di Orissa disse: “Ci sono molti posti in India dove non e’ stato. Potresti convincerlo a venire qui?” Krishnaji affermo’ “Come posso viaggiare due giorni per arrivare in un posto? E dopo il viaggio cosa dovrei fare?”
Poiche’ potevo permettermi piccole liberta’, avendo vissuto con lui a lungo, replicai: “Potrebbe offrire darsan lì.” Mi rispose: “Parlare e’ il mio mestiere. Parlero’ e parlero’, finche’ non cadro’ giu’ morto. Punto!”
Ed egli fece proprio questo. Dal principio alla fine, adempì alla sua missione, finche’ il fisico non ne pote’ piu’. Con questo zelo egli trascorse la sua intera esistenza. Quando arrivava a Rishi Valley, o dovunque andasse, era solito dire: “Voglio mettere tizzoni ardenti sotto le persone.” Sebbene provasse intensi ed amorevoli sentimenti, usava scuotere le persone, affinche’ aprissero gli occhi. Robert Linsson, nel suo libro “Vivere Zen”, fa alcuni paragoni fra l’insegnamento di Krishnaji e quelli Zen; egli non tratto’ sempre le persone coi guanti bianchi. Una volta mi rivolsi a lui con queste parole:
“Signore, lei esige una continua rivoluzione, come Mao in Cina. Suole esercitare continuamente cambiamenti nelle cose.”
Rispose: “Intendo suscitare inquietudine in lei e nelle persone. E’ tutto nel programma, tuttavia non lo avra’, ne’ lei ne’ gli altri.” Pertanto il suo “programma” non consisteva nel solo insegnamento; ma, nell’approccio ad esso, che, talvolta, travolge come un tornado. “Vengo come una bufera,” disse, “e quando vado le persone restano sollevate.”
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Quando ancora ero giovane e Preside della “Rishi Valley School”, venne un giorno Krishnaji. Dopo un paio di giorni mi sottopose una questione: “Balasundaram, ha prodotto un ragazzo differente, affrancato, che proceda in direzione dissimile a quella mondana? E, se c’e’ un insegnante, chi e’?” Era davvero risoluto. Al principio gli fornii alcuni chiarimenti, spiegandogli che le cose erano migliorate, ma non come avrebbe voluto lui. Eravamo insieme durante la colazione, il pranzo e la cena. La sera del terzo giorno andammo a fare una passeggiata. Dopo circa un chilometro mi chiese: “Dov’e’ la nuova luna?” Affrontava raramente discorsi impegnativi, durante le sue passeggiate. Ci guardammo attorno, poi improvvisamente sorrise e disse:
“Cio’ mi ricorda una passeggiata che feci con George Arundale. Era il mio insegnante, una volta a Wimbledon, intorno al 1918/19, ci trovavamo un po’ in contrasto. Quel giorno camminammo per quattro miglia senza rivolgerci una sola parola; proprio come ora, nessuno rivolse parola all’altro.”
Non riuscii a trovarci niente di divertente e ci rimasi un po’ male. Allora mi prese entrambe le mani e scuotendole un po’ disse:
“Old boy, sei stato ferito dalle cose che ho detto questi tre giorni?”
Dissi: “Forse un po’, Signore.” Poggio’ la sua mano nel mio torace e disse: “Old boy, ricorda, se sei ferito, c’e’ in te qualcosa di sbagliato!”
Ripete’ questa frase per tre volte. Krishnaji era certamente un grande maestro; non insegno’ soltanto con parole, ma attraverso dibattiti, confronti e diversi altri mezzi. Non furono solo le sue parole a toccare la gente; ma, quel qualcosa di particolare che fuoriusciva da lui e ti penetrava nel sangue, come un vaccino. Aveva questa straordinaria proprieta’ che, tuttavia, non appare così evidente per chi studia i suoi libri. Del perche’ non mutai nell’ascoltarlo non mi e’ dato di saperlo. E’ un mistero. Egli stesso disse, negli ultimi anni della sua vita: “Ho parlato per molti anni e le persone non sono trasformate; soltanto un paio hanno avuto un leggero cambiamento.” L’unica preoccupazione dei suoi ultimi quarant’anni fu che le persone dovevano trasformarsi profondamente. In Rishi Valley si tenevano spettacoli, danze e tutte cose di questo genere, e molti abitanti dei villaggi volevano venire. Ogni sera, lo riprendevo all’esterno, sotto al fico del bayan, nel campus universitario.
Una sera, poco dopo il pasto, si alzo’ in piedi e disse: “Balasundaram, hanno iniziato a fare i nastri. Restera’ tutto nei libri e nei nastri? Solo quello?” Cosa potevo rispondere? Ero frastornato. Poi, Krishnaji ando’ a lavarsi; quando torno’ lo scoprii in completo silenzio all’albero del banyan.
Dopo il suo trapasso, nel 1990 mi inviarono all'”International Trustees Conference”, a Brockwood, che lui promosse, nel 1973. Ci misero nelle nostre mani undici serie di “Discussioni”, realizzate nel 1977, e noi gli dicemmo che ci fossero affidate, affinche’ potessimo leggerle e meditarvi.
Il loro fondamento era:
“Quest’uomo si consumera’ in dieci anni. Cosa offrirete a chi verra’ a chiedere notizie sugli insegnamenti e informazioni sull’uomo? Gli mostrerete un videotape, gli darete un libro? … Ad eccezione del vostro stesso cambiamento, la vostra testimonianza in direzione della verita’ e’ completamente vana, allo stesso modo della Bibbia. Nel 1995 mi recai in America per il centenario della nascita, ed incontrai molte persone; fra queste, il Professor Anderson, emerito professore di Religioni, all’Universita’ di Santiago.
Mi disse che vide Krishnamurti una sola volta, nel 1974, in occasione di alcuni suoi discorsi.
Osservo’: “La persona e’ svanita (N.d.R.: morta), ma il suo spirito resta “.
Furono in molti ad essere profondamente toccati dal suo messaggio, compreso un uomo che era stato in prigione. Probabilmente molta gente non ebbe la trasformazione che Krishnaji auspicava, tuttavia una gran quantita’ di persone fu toccata e decisamente influenzata dai suoi insegnamenti; cio’, era evidente nella conduzione della loro vita privata e nella condotta professionale.
(Discorso tenuto all’Adyar Convention dal Dr. S. Balasundaram, nel 1995 in occasione del “Krishnamurti Birth Centenary Year” – Il Dr. S. Balasundaram e’ un ex-Segretario della “Krishnamurti Foundation” in India – Traduzione dall’inglese curata da Aetos)
– Jiddu Krishnamurti (amazon)
– Krishnamurti (macrolibrarsi)
– it.wikipedia.org – Jiddu Krishnamurti
– Aforismi di Jiddu Krishnamurti su Meditare.it
Ho letto alcuni suoi testi, era molto amato da Osho, la sua gigantografia era esposta all’ingresso dell’ashram di Pune. Ancora leggo i suoi libri, ma in me non accade nulla, mi sento incapace anche se medito con costanza. Ma Panth Megha (“IL sentiero delle nuvole”, ndr)